Esplodono le contraddizioni che i più avveduti avevano previsto parecchi anni fa: una Unione europea fondata sulla moneta comune (e su un a Banca centrale europea) era nulla, non avrebbe retto a lungo. La moneta unica doveva essere il terminale di un processo di integrazione tra stati e non la premessa dell’unificazione. I risultati sono sotto gli occhi: con l’ultima crisi economico-finanziaria, nata da bolle speculative cresciute per supplire ai deficit di welfare, l’Europa è implosa. Per evitare la catastrofe sono stati bruciati centinaia (forse migliaia) di miliardi di euro. Quasi tutti per salvare banche e istituzioni finanziarie. Solo gli spiccioli sono finiti alla struttura, cioè al lavoro, che dovrebbe essere l’elemento fondante l’Unione europea e e non, come ora, l’Europa dei capitali.
Il progetto di modifica del Patto di stabilità varato ieri dalla Commissione europea si muove lungo questa china e coinvolge gli stati nel processo di stabilizzazione dei conti pubblici e dell’euro, moneta forte, ma non stabile, visto che rappresenta paesi con livelli disuguali di sviluppo economico. Apparentemente il progetto di Barroso può sembrare di buon senso, ma non lo è perché punta a dare norme comportamentali (prevedendo anche sanzioni) agli stati che, a cascata, si rifaranno sui loro cittadini. Dentro non c’è nessuna prescrizione per quanto riguarda i livelli di welfare (sanità e istruzione, per primi) e neppure una norma comune sull’imposizione fiscale. Si dice unicamente che gli stati devono rispettare i parametri di Maastricht: deficit massimo tendente a zero e debito entro la soglia del 60% del Pil con l’obbligo di abbattimento di 1/20 del debito eccessivo ogni anno. Il che significa, a bocce ferme, che l’Italia nel prossimo triennio – se il nuovo patto fosse in vigore – dovrebbe abbattere il debito del 3% l’anno. Cosa possibile se si desse impulso alla crescita, se fossero varati provvedimenti (con soldi pubblici) che le fanno volano. Ma questo non è permesso, neppure negli anni di «vacche grasse»: in quegli anni i singoli paesi dovranno attuare un pollice di bilancio prudente. Insomma, occorrerà essere formichine quando la congiuntura va bene e sacrificarsi quando va male o meno bene.
«Sacrificarsi» si fa per dire: a stringere la cinghia saranno chiamati solo i lavoratori e i futuri pensionati. Gli sarà chiesto il contenimento e perfino la riduzione dei salari e di andare in pensione sempre più tardi. Insomma, questo progetto di revisione finirà per ritorcersi contro la gente comune. Con un di «più»: se i loro governanti sono stati imbroglioni (come in Grecia, dove il governo conservatore ha nascosto lo stato dei conti pubblici) arriveranno multe salate. E pagarle saranno loro, gli incolpevoli. Se, invece, si tratta di banchieri niente paura: saranno assistiti nei disastri e certamente non ci rimetteranno neppure la liquidazione.